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Per la Cassazione il paziente deve essere seguito anche se inviato ad un altro professionista per la cura
[mercoledì 30 maggio 2012]

“Una volta che un paziente si presenta presso una struttura medica chiedendo l'erogazione di una prestazione professionale, il medico, in virtù del contatto sociale, assume una posizione di garanzia della tutela della sua salute e anche se non può erogare la prestazione richiesta deve fare tutto quello che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell'integrità del paziente”. A sancirlo la Corte di Cassazione con la sentenza 13547 del 11 aprile scorso. Il caso preso in esame riguarda la morte di un diciannovenne avvenuta per shock settico e stasi ematica acuta dovuta alla sottovalutazione di una infiammazione dentaria.

Il ragazzo, che presenta un grave ascesso, si reca in ospedale per una visita ma il medico di turno al pronto soccorso pur riscontrando una seria patologia inefficace alla terapia antibiotica, lo dimette senza effettuare o disporre l'incisione della parte infettata. Il ragazzo continua ad avere dolori e si rivolge al suo dentista che, non potendo intervenire per mancanza di idonea strumentazione (ha dichiarato) lo rimanda ad una struttura ospedaliera. Il ragazzo viene ricoverato per ben due volte ed altrettante volte viene dimesso. Perde la vita a causa delle cure non adeguate e non tempestive a cui è stato sottoposto.

Il processo nato a seguito della denuncia dei familiari del paziente termina con la condanna dei due medici delle strutture pubbliche coinvolte che hanno preso in carico il ragazzo e l’assoluzione, invece del dentista giudicato non colpevole della morte del paziente “perché lo ha correttamente indirizzato a un ricovero, vista la mancanza delle condizioni a operare”.

Il successivo ricorso in Corte di Appello peggiora la posizione del dentista che si vede condannato in quanto, dico i giudici, non si doveva limitare a consigliare il ricovero ma seguire il percorso di cura del suo paziente, fornendo opportuna valutazione specialistica ai colleghi che l'avrebbero preso in cura.

Dello stesso parere è la Corte di Cassazione ritenendo che il professionista avrebbe dovuto “assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione”. Il collegio giudicante ha ritenuto che in tema di colpa medica “in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interruttiva del nesso di causalità una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell'assoluta imprevedibilità”

In particolare al dentista si contesta il fatto di non aver redatto e trasmesso ai colleghi un'analitica certificazione medica inerente le condizioni del malato, utile ad agevolare i successivi interventi e a segnalarne l'urgenza. Cosa che ha impedito, ricordano i giudici, l'erogazione di quell'assistenza diagnostica e terapeutica tempestiva che avrebbe evitato il decesso.

 


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