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RICERCA CLINICA. Quale composito “chiude” meglio?
[mercoledì 4 luglio 2012]

Nel dibattito sulla messa la bando dell’amalgama dentale uno degli aspetti molto considerati è l’efficacia dei materiali alternativi, come i materiali compositi.

L’obiettivo del Lavoro pubblicato su Il Dentista Moderno (2012;07:54-58) è stato proprio quello di valutare la qualità del sigillo marginale di diverse resine composite associate a differenti sistemi adesivi su substrato dentinale e smalteo.

Per realizzare la ricerca sono stati selezionati 48 elementi dentari. Su ciascuno di essi sono state preparate quattro cavità di V classe per ogni superficie dentale ampie 2x2x2 (± 0,2) mm; 1 mm sopra e 1 mm sotto la giunzione amelo-cementizia. La profondità media era di 2 mm. Le cavità sono state otturate usando i seguenti materiali e adesivi: composito nanoibrido Venus Diamond (Heraeus Kulzer); composito flowable Venus Diamond Flow (Heraeus Kulzer); composito flowable SDR (Dentsply); Ace All-Bond SE (Bisco); Xeno V (Dentsply); SE Plus Self-Etch (3M Espe); One Step (Bisco); Optibond (Kerr); All Bond 3 (Bisco).

La polimerizzazione è stata effettuata tramite Translux Power Blue LED polymerization lamp (Hereaus-Kulzer). Una volta terminati i restauri, i campioni sono stati divisi in due gruppi. La prima metà di essi è stata immersa in una soluzione di blu di metilene, con diluizione 1:10, per 30 minuti a 25 °C. L’altra metà, invece, è stata immersa in saliva umana per 6 mesi allo scopo di simulare un invecchiamento artificiale e poi, come la prima metà, nella soluzione di blu di metilene per 30 minuti. Tutti i campioni sono stati, infine, sciacquati sotto acqua corrente, inglobati in resina acrilica e poi sezionati al microtomo al centro del restauro. Il dye penetration è stato valutato utilizzando una scala di valori da 0 a 3.

L’analisi statistica, utilizzando il test Kruskal-Wallis, ha evidenziato una differenza significativa tra i flow e gli altri materiali utilizzati a livello dello smalto sia precedentemente (P<0,003) che successivamente (P<0,54) all’immersione nella saliva. Il composito, invece, si è dimostrato statisticamente meno efficace a livello della dentina rispetto agli altri materiali nei campioni precedentemente immersi nella saliva (P< 0,38). L’analisi statistica (livello di significatività del 95%) non ha evidenziato una differenza di rilievo sia in substrato smalteo che in substrato dentinale, usando sistemi adesivi SE (2 e 1 step) e TE (2 e 3 step), sia a T0 che dopo invecchiamento artificiale.

I compositi flowable, commentano gli Autori, hanno dimostrato una miglior qualità di sigillo a livello della dentina rispetto a quelli nanoibridi successivamente all’invecchiamento artificiale. I compositi, invece, si sono dimostrati maggiormente efficaci a livello dello smalto rispetto ai flow sia precedentemente che successivamente all’invecchiamento artificiale. Secondo quanto ottenuto, risulta ragionevole l’apposizione di uno strato elastico di flow al di sotto di restauri effettuati con compositi nanoibridi, in assenza di smalto residuo, a patto che questo abbia una contrazione molto limitata.

Conseguentemente, essendo i compositi flowable soggetti a una forte riduzione del volume dovuto a contrazione, risulta molto importante la corretta esecuzione della fase adesiva al fine di ridurre la microinfiltrazione indipendentemente dall’adesivo utilizzato. In questo senso un ruolo importante può essere ricoperto dai compositi flow a bassa contrazione (SDR), in cui coesistono la capacità di scorrimento e la contenuta riduzione del volume per stress da contrazione.


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