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Non è possibile sanzionare l’iscritto solo perché pubblicizza una riduzione delle tariffe. Per la Cassazione la sanzione è infondata e frutto di “insofferenza” verso il messaggio pubblicitario
[venerdì 13 luglio 2012]

Non è possibile sanzionare un iscritto solo perché propone prestazioni a corsi scontati. A sancirlo è la Cassazione che, con la sentenza11816/12 depositata ieri, ritiene che il pubblicizzare tariffe scontate non leda i principi deontologici ricordando come l’Ordine ha il potere esclusivamente di verifica della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario.

La sentenza nasce dal ricorso di un dentista titolare e direttore sanitario di un centro odontoiatrico di Brescia, sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Ordine in relazione alla diffusione di un volantino ove erano proposte tariffe scontate.

L'accusa formulata nei suoi confronti era di aver tenuto un comportamento non conforme al disposto degli artt. 55 e 56 del Codice Deontologico.

La Commissione dell’Albo degli odontoiatri sanzionò l’iscritto giudicando che la diffusione di volantini pubblicitari fosse deontologicamente scorretta, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale e ispirata a realtà di esclusiva natura commerciale; che il messaggio diffuso fosse falso, nella parte in cui postulava l'esistenza di una tariffa minima nazionale, oramai abrogata.

Iscritto ricorre alla CCEPS, che conferma la decisione della CAO di Brescia,  confutando la tesi difensiva secondo cui il riferimento alla tariffa minima nazionale (rispetto alla quale i prezzi praticati dalla struttura risultavano ridotti di 2/3) aveva un valore meramente parametrico, ha affermato che la stessa necessità di chiarire il significato dell'espressione era indice di un’inemendabile mancanza di trasparenza del messaggio pubblicitario. CCEPS che ha aggiunto che il richiamo a quei minimi, in un contesto normativa in cui essi erano stati abrogati, era biasimevole e che una riduzione generalizzata delle tariffe, non riferita alle singole prestazioni, si poneva in contrasto con il principio di correttezza. Quanto poi alle innovazioni in materia di pubblicità sanitaria sancite dalla normativa comunitaria e dal decreto Bersani, le disposizioni sopravvenute non avevano inciso sulla competenza degli Ordini professionali di verificare la rispondenza dei messaggi pubblicitari ai criteri di trasparenza e veridicità.

Iscritto che ricorre alla Suprema Corte sostenendo che l’Ordine, con la decisione di sospenderlo, ha violato l’art. 42 e 49 UE della Direttiva 123 del 2006 (quella sul libero mercato NdR) e del decreto Bersani e successive modifiche.

Cassazione che ritiene entrambi i motivi fondati giudicando le argomentazioni addotte dalla CCEPS a sostegno della scelta decisoria adottata “speciose e tautologiche”. “L'assunto dell'ambiguità e, in definitiva, del carattere ingannevole del riferimento a una tariffa oramai abrogata –continua la motivazione della Cassazione- è all'evidenza viziato da un’insopprimibile insofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell'esercente la professione sanitaria”. Non si vede, infatti come quel richiamo, che necessariamente presuppone, piuttosto che smentire, il carattere puramente orientativo della tariffa, possa configgere con la trasparenza e la veridicità della comunicazione. Né ha troppo senso la valorizzazione, in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari”.

Cassazione che giudica “inidoneo” il giustificare la decisione da parte dell’Ordine “malgrado l'indiscutibile eliminazione del divieto di svolgere pubblicità sui servizi offerti, sui prezzi e sui costi complessivi delle prestazioni professionali (art. 2 legge n. 248 del 2006)”.

Poteri degli Ordini, la cui sopravvivenza è fuori discussione ricorda la Suprema Corte, “sono funzionali alla verifica della trasparenza e della veridicità del messaggio”. Ma si è già visto –conclude la motivazione- che le ragioni addotte dalla Commissione a sostegno della negativa valutazione formulata al riguardo sono giuridicamente scorrette e logicamente inappagnati”.

 


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