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Guido Benedetti: Perché la politica dovrebbe interessarsi ai dentisti privati? Non possono sostituirsi al SSN, hanno obiettivi diversi
[lunedì 21 gennaio 2013]

Pubblichiamo per gentile concessione il post pubblicato da Guido Benedetti sul suo blog -Gengive Rosse- su L’Unità

La premessa

In Italia siamo circa 54.000 dentisti. Per esercitare la professione è necessaria la laurea, l’abilitazione professionale e l’iscrizione all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (meglio se con un’assicurazione in tasca).

In Italia esistono un certo numero di associazioni odontoiatriche, molte con un taglio culturale e alcune anche con un profilo sindacale. Le due principali sono l’ANDI, Associazione Nazionale Dentisti Italiani e l’AIO, Associazione Italiana Odontoiatri.

In Italia per esercitare la professione odontoiatrica non è richiesta l’iscrizione ad alcuna di queste associazioni ed esserne iscritto non rappresenta alcun titolo aggiuntivo per il professionista o garanzia per il paziente (che si affida a quel professionista).

ANDI si definisce (qui) “un sindacato di categoria che accoglie oltre 23.000 dentisti associati, svolgendo non solo attività prettamente sindacali, ma anche culturali e scientifiche”.

Il fatto

Leggo oggi su ANDInforma online (la rivista dell’ANDI) un editoriale a cura della Presidenza ANDI (qui).

Leggo nell’editoriale:

“Per la nostra Associazione è il tempo di “sfruttare” le promesse elettorali perlomeno per far conoscere ai candidati le impellenti problematiche della professione. Questi i punti fondamentali che chiediamo ai politici di sostenere:

- Considerazione dell’attività libero-professionale odontoiatrica quale cardine imprescindibile del sistema di salute del nostro Paese;

- Semplificazione della burocrazia e degli adempimenti quotidiani per le attività libero professionali;

- Lotta definitiva all’abusivismo sanitario con approvazione della norma che prevede la confisca dei beni;

- Aumento della detraibilità dei costi delle cure odontoiatriche in modo da favorire l’accesso alla popolazione e combattere efficacemente l’evasione fiscale;

- Difesa del “Made in Italy” per tutto il comparto odontoiatrico a garanzia della qualità delle cure e dei dispositivi utilizzati;

- Regole certe e facilitanti il subentro nella attività professionale in modo da evitare la chiusura degli studi monoprofessionali e favorire quindi il patto generazionale tra colleghi;

- Azione politica per limitare il contenzioso assicurativo e di conseguenza il valore dei rimborsi e dei premi assicurativi professionali;

- Incentivazioni fiscali che consentano: l’ammodernamento dei beni strumentali, l’aggiornamento professionale obbligatorio (sistema ECM) e la creazione di una rete di studi di liberi professionisti (network che permette risparmi sui costi).

Ci stiamo muovendo in tal senso con il solito impegno quotidiano, incontrando i referenti della varie formazioni politiche ed offrendo il sostegno a quei candidati che si impegneranno a realizzarli…”

La critica

Premesso che, ai miei occhi, questo editoriale rappresenta semplicemente un esempio della realtà odontoiatrica italiana…

Perchè la politica dovrebbe considerare “l’attività libero-professionale odontoiatrica quale cardine imprescindibile del sistema di salute del nostro Paese”? In base a che cosa i servizi privati sono un “cardine”? Quale vantaggio riceve la popolaziosalute dai servizi privati?

In Italia, quasi il 90% della popolazione paga per la bocca e i denti nel momento del bisogno e di tasca propria; il 60% della popolazione non accede ai servizi mentre il 40% che vi accede lo fa in base a un trend sociale e geografico (e lo dice il Ministero – qui).

Quindi, quale sarebbe stato il vantaggio nell’avere da sempre dei servizi odontoiatrici in larga parte privati? E perchè questi rappresenterebbero un cardine “imprescindibile”? Imprescindibile in base a cosa?

E quando qualcuno risponderà a questa domanda – cioè si porrà questo problema – allora potremo toglierci lo sfizio di indicare possibili alternative (non certo inventate da me).

Perchè, con questi risultati, i servizi privati dovrebbero “meritarsi” incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche? Chi garantisce che questi risulterebbero in un vantaggio per i pazienti?

In base a quale criterio il “Made in Italy” rappresenterebbe una garanzia per la qualità? Come si misura la qualità di un servizio sanitario? Sarà il caso di cominciare a misurarla con il risultato di salute che produce?

Siamo sempre abituati a identificare la “qualità” di un servizio sanitario con la “sicurezza” (lo strumento sterile o i materiali scaduti) ma questa è solo un parametro della qualità. Esistono, per esempio, anche l’efficacia (…i risultati sono quelli desiderati?), l’efficienza (…le risorse spese e i risultati vanno d’accordo?), l’accettabilità (…per esempio, che ne pensa la popolazione di quel servizio? glielo vogliamo chiedere sul serio?), l’accesso (…), l’equità (…!!!), la pertinenza (…quel servizio è adatto ai bisogni? se a Firenze non esiste un PS odontoiatrico pubblico h24, ai fiorentini – da Quaracchi a Settignano – serve avere studi privati preparatissimi in estetica dentale o in filler al botulino per labbra “da urlo”?) – da: Oxford Handbook of Public Health Practice. II ed. 2006.

E chi è un “cardine imprescindibile del sistema di salute” penso dovrebbe porsi questi problemi.

Il colpo di scena

La colpa (che a volte è anche dolo) non sta però nei servizi privati; questi non sono cattivi per scelta ma semplicemente inadatti a tutelare un diritto per loro natura – non ce la possono fare proprio in quanto privati. La colpa è di chi gli delega la tutela di quel diritto e li abitua a sentirsi “salvatori della Patria” quando ben che vada sono insignificanti. Ecco, una politica sanitaria che fosse Politica dovrebbe avere l’autorità per mettere i servizi privati al loro posto… i servizi privati di qualsiasi tipo, odontoiatrici, sanitari in genere, educativi, ecc. cioè tutti i privati che vogliono occuparsi di un diritto e quindi dell’interesse collettivo.

Ecco, il mio appello alla politica è quello di considerare l’interesse collettivo prioritario su quello particolare; e magari di farlo cominciando a misurarlo in termini di salute.

Circa un anno fa, un collega anziano mi disse che i miei sono attacchi gratuiti alla libera professione. Non lo so. Quel che so è che la salute è più importante dei medici.

 


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