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Le strutture sanitarie cominciano ad utilizzare strumenti di marketing propri della grande distribuzione. Le carte fedeltà per i pazienti troveranno spazio negli studi odontoiatrici? Lo abbiamo chiesto al prof. Antonio Pelliccia
[mercoledì 30 gennaio 2013]

Nei giorni scorsi sul quotidiano La Repubblica Mario Del Vecchio, Direttore dell'Osservatorio sui consumi privati in sanità dell'Università Bocconi, ha evidenziato il dato Istat da cui emerge che il 57% della spesa sanitaria per le visite specialistiche viene fatto a pagamento, dato che va contestualizzato. Ma l’articolo ha fatto molto discutere per aver evidenziato come sono molte le strutture sanitarie che utilizzano sui loro pazienti, in questo caso clienti, formule di promozione “da supermercato”.

Dobbiamo considerare che questo è un dato generalistico e non riferito alla categoria odontoiatrica, ma questi strumenti possono esse efficaci anche per lo studio odontoiatrico, questo al di là dell’aspetto etico. In particolare potrebbero funzionare le carte fedeltà proposti da studi odontoiatrici più o meno grandi ed organizzati?

Le carte fedeltà servono per mantenere clienti che non percepiscono chiaramente i vantaggi offerti da chi eroga i servizi e promuovono sconti o offerte. Il legame che si crea è "mercificatorio". L'intento è che il cliente, se percepisce il servizio erogato uguale a quello di tanti altri, ne sia attratto per le offerte, gli sconti, i premi.

Questo principio va benissimo se si sta vendendo un bene della distribuzione commerciale che non si differenzia da un altro se non per il prezzo, per la confezione o per la reperibilità; ma quando parliamo di prestazioni medico professionali, basate sul rapporto di fiducia (un bene fiducia come la salute), il discorso si fa un po' più complesso.

Attrarre i pazienti con formule "commerciali" significa proprio comunicare che il servizio, la qualità ed i costi sono massimizzati secondo la logica di impresa verso una relazione centrata sul valore economico. In questo modo si attrae e si "educa" il target di quei pazienti che è attento e sensibile, da quel momento in poi, all'esclusività dei vantaggi offerti dalla "carta fedeltà" e per definizione, sarà attratto da tutti quelli che gli offriranno una carta migliore...

La competizione tra strutture sanitarie si svilupperà su questo piano, nella continua ricerca della migliore offerta commerciale, cercando di portare via i pazienti ingaggiando la concorrenza tra le carte fedeltà.

Lo sviluppo di queste "carte fedeltà" è embrionale e non ancora così diffuso, perché?

Lo stesso consumatore sa che quando deve acquistare il bene salute, non può affidarsi esclusivamente alla pubblicità commerciale ma deve adottare un processo decisionale più profondo per se è per i suoi familiari. Esiste però comunque un target di persone che accetta e ricerca sconti ed offerte anche in sanità, ma prevalentemente quando si tratta di dover svolgere esami strumentali, diagnostica o analisi.

Devo dire però che nella libera professione odontoiatrica, prendendo un esempio per tutti come la radiografia ortodontica, dobbiamo dire che questo non è un banale esame e che il paziente non può scegliere di farla in base al prezzo (vado li che costa meno), perché va spesso refertata e che, siccome l'ortodontista ne acquisisce agli atti in cartella clinica tale importante documentazione ai fini medico legali, spesso comunica al paziente il centro radiologico da cui andare, di cui lo stesso professionista si fida.

Detto ciò la scelta avviene sul piano della fiducia e della qualità anche in questo caso, e chi poi vuole offrire vantaggi ai pazienti, lo ha sempre fatto, ma comunicando eticamente e non aggressivamente con formule da "supermercato", adottando strategie di Referral Programm, decisamente più efficaci.

Con le carte fedeltà, i pazienti invece di essere più fedeli, alla lunga si perdono e si confondono, cercano altro, si guardano intorno e confrontano i prezzi e l'offerta, con un nomadismo medico che è l'antitesi del rapporto di fiducia, disorientandosi.

Le "carte fedeltà" in odontoiatria sono una trovata pubblicitaria che estrae e profila un target preciso di pazienti economicizzanti. 

Il vecchio detto recita: "ognuno ha i pazienti che si merita" e quindi lascio ai lettori le conclusioni sul tema.

Va però esposto anche un altro fattore determinante, per esaminare il fenomeno: "l'induzione alla cura medica". Si può "vendere" salute come fosse un prodotto, un oggetto? Si può indurre i pazienti alla spesa medico sanitaria, per cui un'igiene orale è come un taglio di capelli? No se è necessaria la diagnosi. Ecco perché le carte vengono utilizzate, semmai, per esami, per visite specialistiche ma non facilmente per le terapie e le troviamo saltuariamente diffondersi nei centri e negli studi polispecialistici convenzionati che vivono una concorrenza sul prezzo, offrendo prestazioni massimaliste. Ci sono quindi sono ripercussioni medico legali non indifferenti di cui tenere debitamente conto, perché promuovere sconti sulle terapie senza una diagnosi non è possibile ma soprattutto non è conveniente. Attenzione quindi alla moda inconsulta della pubblicità affidata alla formula del "copia incolla" (lo fanno loro e lo faccio anche io) o del "fai da te" e attenzione all'affidarvi ad Agenzie che non vi definiscono il sistema di misurazione e che confondono una "strategia" da una "tattica" commerciale, che non conoscono il sistema nel quale operate e genericamente lo confondono con la Sanità...

Tutto questo può produrre effetti avversi difficilmente reversibili sulla credibilità del professionista privato. 

 

Prof. Antonio Pelliccia:

Consulente di Direzione per le Strategie di Impresa e per la Gestione Strategica delle Risorse Umane. Prof. a c. Economia e Gestione Aziendale Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Agostino Gemelli di Roma – Università Vita e Salute Ospedale S. Raffaele di Milano

 

 


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