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Le mancanze disciplinari in merito alla pubblicità sanitaria, così si è espressa la CCEPS
[giovedì 4 aprile 2013]

Il Ministero della Salute ha pubblicato sul proprio sito i massimari delle sentenze della Commissione Centrale per gli Esercenti Professioni Sanitarie del 2011.

Le decisioni sono utili ai professionisti per capire come si deve interpretare il Codice Deontologico, molto più utile sarebbe conoscere non solo la decisione della CCEPS ma anche il fatto che ha portato l’iscritto a ricorrere.

Questi i massimari che interessano la pubblicità sanitaria, ovviamente la Commissione nel giudicare l'iscritti ha applicato le norme in vigore nel 2011.

Contenuti del messaggio pubblicitario

37. Il ricorrente, nella sua qualità di direttore sanitario, deve verificare che il messaggio pubblicitario divulgato non sia tale da concretizzare gli estremi della concorrenza sleale o dell’illecito accaparramento. Infatti la responsabilità in ordine ai contenuti di un messaggio pubblicitario grava sul sanitario il quale è espressamente tenuto a verificare che gli stessi siano conformi alle disposizioni di legge e a quelle deontologiche (n. 33 del 24 ottobre).

38. Non sussiste il vizio di eccesso di potere per sproporzione della sanzione applicata rispetto al fatto contestato, consistente nell’erroneo utilizzo della dicitura “specializzato in odontoiatria estetica” in un dépliant informativo, laddove l’organo di disciplina abbia accertato che l’informazione pubblicitaria ivi contenuta è priva degli elementi di correttezza informativa, trasparenza, obiettività e veridicità e quindi fuorviante per gli utenti (n. 34 del 24 ottobre).

39. È infondata l’eccezione sollevata dal ricorrente relativa al contenuto del messaggio diffuso in un pieghevole, il quale, a suo avviso, non menzionerebbe la contestata “riduzione dei 2/3” del prezzo rispetto alla tariffa minima nazionale, tale riferimento essendo utilizzato al solo fine di evidenziare l’oggettiva convenienza dei prezzi praticati, assumendo a parametro non i tariffari professionali concorrenti, ma quelli del recente passato fatti propri dagli Ordini. Infatti, la stessa necessità avvertita dal ricorrente di chiarire l’espressione “riduzione dei 2/3” rispetto alle tariffe praticate è significativa di una riconosciuta ambiguità del messaggio, contraria alla dovuta trasparenza e come tale censurabile deontologicamente. Inoltre, l’abrogazione del principio della tassatività dei tariffari rende il riferimento ai medesimi biasimevole perché ormai non più attuale, e una riduzione generalizzata delle tariffe, non riferita a singole prestazioni, si pone in contrasto con i principi di correttezza e trasparenza (n. 10 del 7 febbraio).

Pubblicità ingannevole

40. È infondato il motivo di ricorso con il quale viene dedotta la violazione della disciplina sulla pubblicità ingannevole. Il sindacato degli Ordini e dei Collegi sulla pubblicità sanitaria è, alla luce della disciplina introdotta con il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, circoscritto ai criteri di trasparenza e veridicità del messaggio. In tale quadro, correttamente può essere censurato il messaggio pubblicitario del sanitario che associ “il suo nome ad un noto marchio commerciale”, in quanto non improntato ai richiesti requisiti di trasparenza e veridicità. La ratio dell’art. 57 C.d. va proprio nel senso di preservare l’autonomia del sanitario e la completa trasparenza del relativo comunicato pubblicitario. Il provvedimento dell’Ordine appare legittimo anche nella parte in cui motiva il convincimento di colpevolezza del sanitario con la “promozione di specifici prodotti direttamente patrocinati nel contesto di un evidente rapporto di reciproco scambio”. Con ciò, infatti, non ci si riferisce ad un formale rapporto di sponsorizzazione o analoga relazione sinallagmatica tra l’azienda detentrice del marchio e l’incolpato, ma si stigmatizza una condotta fuorviante volta a determinare, a proprio vantaggio, confusione e sviamento del mercato (n. 42 del 19 dicembre).


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