Una sentenza della Cassazione “inguaia” gli studi odontoiatrici in merito alle acque reflue equiparando gli scarichi degli studi professionali a quelli industriali. La sentenza in questione, la n° 234 del 7 novembre 2012, indica che “le acque reflue degli studi odontoiatrici privati rientrano nel novero delle acque reflue industriali in quanto provenienti da attività di prestazione di servizi che ne rendono impossibile l'equiparazione con le acque reflue domestiche anche in ragione dell'utilizzazione nelle attività terapeutiche di sostanze quali anestetici e farmaci estranee alla vita domestica”.
"Ancora una volta un eccesso di non conoscenza della nostra attività –ci dice il segretario sindacale ANDI Alberto Libero- porta a confrontarci con sentenze avulse dalla realtà dell'esercizio dell'odontoiatria. Non rilevo cosa possano immettere nelle acque reflue i nostri "servizi terapeutici", di diverso dalle acque domestiche. Il fatto che noi "forniamo" protesi non vuol dire nulla, né a livello di inquinamento delle acque né a livello normativo perché noi siamo professionisti e certo questa "fornitura" non ci fa divenire impresa ma è un importante atto medico a conclusione di una terapia riabilitativa. O ci hanno equiparato al laboratorio odontotecnico, attività certamente importante ma inquadrata nell'artigianato?”
“Vero e condivisibile –continua Libero- è invece che non possiamo smaltire nelle acque reflue anestetici e medicinali, ma questa non è una novità ed è molto facile smaltire correttamente, senza costi, tramite le farmacie. Abbiamo anche il parere del nostro Ufficio Legale da cui si evince che questa sentenza nulla ci cambia, non inquinavamo prima e non inquiniamo ora. Occorrerà comunque la massima attenzione dei Dipartimenti regionali ANDI sulle singole normative regionali”.
“Questa pervicace ricerca di additare noi dentisti come i responsabili di ogni male –conclude il segretario sindacale ANDI- dovrebbe invece valutare seriamente comportamenti che veramente incidono sulla salute dei cittadini, dall' Eternit di Casale Monferrato all'Ila di Taranto a tanti altri veri e drammatici inquinamenti”.
Anche un interessante articolo pubblicato su lexambiente.it fornisce una lettura diversa della normativa da quanto sancito dalla Cassazione.
“A nostro avviso tuttavia –scrive la rivista giuridica- sarebbe stato opportuno approfondire la possibilità che gli scarichi in esame, pur non essendo reflui domestici, potessero essere qualificati come “assimilati” ai domestici in base all’art. 101, comma 7, D.Lgs 152/06, anche e soprattutto alla luce di quanto dispone il DPR 19 ottobre 2011 n. 227 (“ Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’art. 49, comma 4 quater, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122”.)”.
In sostanza gli esperti giuristi del sito evidenziano come la sentenza non prenda in considerazione la regolamentazione del DPR 227 sulle acque assimilabili che avrebbe probabilmente permesso di cambiare la valutazione della sentenza.
“Peccato –conclude l’articolo- perché sarebbe stata l’occasione per verificare l’esattezza di quanto avevamo già sostenuto in proposito e cioè che “l’art. 2 del DPR 227 del 2011 in tema di acque assimilate costituisce l’ennesimo pastrocchio governativo. Trattasi di regolamentazione illegittima in quanto mancante di idonea “base legale”, e come tale annullabile dalla magistratura amministrativa e disapplicabile dalla magistratura ordinaria. Nel merito, si pone in contrasto con la legge quando pretende di dettare criteri diversi da quelli previsti dall’art. 101, comma 7, lett. e) D. Lgs 152/06 che, nello stesso tempo, dichiara di voler tenere “fermo”. Infine, crea una ingiustificata e pericolosa disparità di trattamento (con difficoltà di controllo) in quanto da un lato detta questi criteri solo per le micro, piccole e medie imprese e non con valenza generale, e dall’altro non si applica se in una Regione vengano o siano stati emanati criteri diversi.”