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Fisco. Gli “appunti del dentista” bastano per presumere il nero e legittimare l’accertamento, lo sancisce la Cassazione
[martedì 17 settembre 2013]

Le annotazioni estracontabili trovate in casa del professionista valgono come prova per stabilire gli incassi in “nero”, spetta al contribuente provare il contrario. A stabilirlo è la Corte di Cassazione (sentenza 20492 del 6 settembre) chiamata a pronunciarsi da un dentista al quale gli era stata contestata una evasione fiscale sulla base di appunti trovati nell’abitazione e non in studio.

La Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui “la “contabilità in nero” – costituita da appunti – per il suo valore probatorio, legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui agli articoli 39, Dpr 600/1973, e 54, Dpr 633/1972, spostando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo”.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, così come dell’Iva, la “contabilità in nero” o “parallela”, costituita da appunti personali (brogliacci, block notes, agende, eccetera) e informazioni dell’imprenditore -continua la Cassazione- rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall’articolo 39, Dpr 600/1973 (e, per l’Iva, dall’articolo 54, Dpr 633/1972), dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili, disciplinate dagli articoli 2709 e seguenti del codice civile, tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che tale “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, di cui ai citati articoli 39 e 54, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr, tra le altre, Cassazione sentenze 6949 e 25610 del 2006, 24051/2011 e 8625/2012)”.


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