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Dentista accerchiato dal mercato che cambia. Una lucida riflessione dell’editorialista economico del Corriere della Sera Dario Di Vico
[martedì 16 febbraio 2010]

Se da tempo all’interno del settore chi vede con “distacco” l’evoluzione della professione di dentista evidenza che la professione come oggi la intendono la maggior parte di dentisti (per intenderci la generazione dei cinquantenni ed oltre) non abbia un futuro –almeno per i giovani-, non sorprende l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera di oggi dal titolo “ La solitudine del dentista globalizzato” a firma di Dario Di Vico.

Nella sua lucida rappresentazione, l’economista del Corriere fotografa la professione di dentista oggi “accerchiata” dal franchising, dal turismo odontoiatrico, dalle strutture pubbliche che si organizzano, da quelle private che vedono nell’odontoiatria un business remunerativo ma soprattutto da un mercato (leggi paziente) che cambia.

“Spira dunque un forte vento di novità –scrive Di Vico- che mette alla frusta il piccolo dentista made in Italy con studio mono-professionale”.

Però nota la firma de Il Corriere, la professione sembra fare fatica ad adattarsi al cambiamento nonostante alcuni provino a governarlo. Cita le iniziative di ANDI ma anche la “baruffa” (così la definisce) all’interno dello stesso governo della professione riportando la notizia, data anche da noi, sulla censura comminata al presidente Callioni.

“Eppure se c’è una professione che per effetto della concorrenza, peso degli investimenti fissi e dipendenza dal mercato assomiglia di più a un’impresa è proprio quella odontoiatrica ma il cambio di passo è difficile”, continua Di Vico che chiude il suo pezzo suggerendo di ampliare il mercato di riferimento.

“Due terzi della famiglie non vanno dal dentista nemmeno una volta durante l’anno e bisognerebbe invece inventare una consulenza a tutto tondo, capace di pianificare la prevenzione e di ampliare il campo d’intervento fino all’estetica del sorriso e la cura dell’alitosi. In sostanza diventare professionisti di un terziario da Paese avanzato, ma è chiaro che si tratta di una ricetta che può affascinare e mobilitare una fetta ristretta dei dentisti italiani. Non sarebbe però una cattiva partenza”.

 


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