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Manani (CLOP Padova): “i futuri dentisti non sono preparati a gestire le emergenze”. Di Lenarda (Collegio): “la formazione deve avvenire in Università”
[mercoledì 31 marzo 2010]

“Deve essere aggiornato il corso di laurea e valutata la qualità dell’aggiornamento in tema delle punture venose”. A lanciare il giro d’allarme, dalle pagine del settimanale Il Sole 24 Ore Sanità è il prof.  Giovanni Manani (Cattedra di anestesiologia Clmopd Università di Padova).

“In qualche assemblea di professionisti odontoiatri –scrive il prof. Manani- riemerge frequente l’interrogativo se l’odontoiatra possa o debba saper eseguire una puntura venosa per effettuare iniezioni endovenose di farmaci o prelievi di sangue”. Benché le motivazioni siano diverse, dice Manani, “l’odontoiatra ha diritti e doveri nei confronti dell’esecuzione di una puntura venosa tanti quanti vengono attribuiti al medico chirurgo”. Motivazioni di una puntura venosa in odontoiatria derivanti, ritiene, dal profilo professionale dell’odontoiatra enunciato in  molti documenti europei, tra cui quelli dell’Association for dental education in Europe (Adee).

“In sintesi –continua Manani- il dentista rispettoso delle direttive Adee ed educato ad assolverle, dovrebbe essere competente nell’affrontare, alla fine del corso universitario, le diverse emergenze mediche, comprese quelle che prevedono il ricorso a farmaci endovenosi, nonché tecniche di ansiolisi endovenosa e di sedazione inalatoria dopo un periodo di apprendimento”. “La mancata esecuzione di una iniezione endovenosa –ipotizza- o del posizionamento di una cannula venosa utilizzabile per la somministrazione frazionata di un farmaco, qualora tale omissione avesse causato conseguenze alla condizione fisica o danni per la sopravvivenza del paziente, potrebbe essere riconosciuta al dentista come omissione di soccorso”. Per ovviare a queste carenze professionali, il prof. Manani ritiene che il nuovo ordinamento del Clompd dovrebbe suggerire che ogni sede universitaria vengano organizzati corsi post-lauream che permettano al laureato di acquisire totale dimestichezza con le tecniche di puntura venosa. “La questione –sostiene Manani non è di poco conto qualora si consideri che lo stato di vacanza di cui giace l’insegnamento dell’anestesiologia in odontoiatria in Italia sta sottraendo al dentista il dovere di usufruire di tecniche di ansiosi endovenosa e di sedazione inalatoria, ampiamente diffuse in Europa, capaci di migliorare l’assistenza, di assicurare la crescita professionale, di garantire l’indipendenza del dentista dell’anestesista e di conferire alle prestazioni odontoiatriche livelli di massima sicurezza e di evitare emergenze mediche pericolose, e soprattutto di rispettare i diritti del paziente”. “La costituzione –conclude- da parte del ministro Gelmini di una Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca rappresenta un lodevole passo avanti. Tuttavia, consiglierei al ministro Gelmini di verificare se la produzione scientifica di un docente di anestesiologia in odontoiatria, ancorchè di eccellenza, non riguardi aree medico-chirurgiche piuttosto che odontoiatriche e se i contenuti della didattica siano veramente caratterizzanti e odontoiatrici”.

“Il prof. Manani –commenta il prof. Roberto Di Lenarda segretario del Collegio dei Docenti- solleva alcuni problemi di diverso impatto:

1. Può/deve il neolaureato in odontoiatra essere in grado di gestire le emergenze mediche?;

2. E conseguentemente è adeguato il percorso formativo dei neolaureati?

3. L’insegnamento dell’anestesiologia è adeguato nei Clmopd?”

“In relazione al primo punto –continua Di Lenarda- l’update del 2009 del “Profile and competences for the graduating european dentist (scaricabile dal sito Adee) al punto 6.69 chiaramente specifica come il neolaureato debba essere in grado di “gestire le procedure BLSD e di intervenire tempestivamente per le altre emergenze quali gli eventi cardiovascolari e/o respiratori, l’ostruzione delle vie aeree superiori, i disordini metabolici, le reazioni avverse ai farmaci, le crisi vaso-vagali ed epilettiche, le emorragie, le alterazioni dello stato di coscienza, ecc”.

E’ pertanto chiaro che corsi post universitari non sarebbero la soluzione ma un “rattoppo” (su base volontaria? Con quale controllo?) di una mancata formazione primaria. Il piano di studi del corso di laurea magistrale in odontoiatria di sei anni ha in sé le potenzialità, se correttamente applicato, di garantire al neolaureato anche in questo campo, oltre ad una completa preparazione nella specifica odontoiatria clinica, la corretta formazione professionale. Non c’è dubbio che la situazione delle varie sedi italiane è ancora a macchia di leopardo ma il percorso, anche di site-visits, che si è messo in moto fa ben sperare. In relazione all’ultimo punto non possiamo che concordare sull’auspicio che le commissioni dei concorsi (formate per legge da anestesiologi) valutino correttamente i candidati”.

 


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