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Inviare il paziente con patologia sistemica ad una altra struttura per le cure. Ecco gli accorgimenti consigliati dell’odontologo forense per non rischiare di essere responsabile in caso di problemi
[venerdì 1 giugno 2012]

Dopo avervi dato la notizia della sentenza della Corte di Cassazione che ha considerato responsabile per il decesso di un paziente il dentista che aveva inviato per le cure ad una struttura pubblica senza segnalare la situazione clinica, abbiamo chiesto a Marco Scarpelli, noto odontologo forense milanese, un parere.

Si può dire che l'elemento chiave della sentenza è indubbiamente la massima: "Consigliare al paziente di rivolgersi a una struttura non esonera il medico dalla responsabilità per il decesso dell'utente, se omette di trasmettere ai colleghi una valutazione specialistica, utile a inquadrare la situazione clinica e a evitare ritardi nella cura. Il sanitario che non può erogare la prestazione richiesta, infatti, deve fare tutto il possibile per salvaguardare l'integrità del malato".

Bene si comporta lo specialista odontoiatra (medico chirurgo specialista o medico odontoiatra con laurea specialistica) a differire a soggetto con maggiore competenza, ovvero a struttura complessa, il paziente con patologia sistemica. Tuttavia, proprio per l'origine specialistica della patologia, l'odontoiatra ha il dovere di fornire a chi prende in consegna il paziente tutti gli elementi utili per poter meglio seguire successivamente il paziente.

Nei casi a me noti, in verità in numero crescente e comunque significativo, l'odontoiatra tende a "spostare" il paziente verso un soggetto più competente, dimenticando come la laurea specialistica in odontoiatria preveda in ogni caso una conoscenza di base delle procedure mediche che, nell'ambito della propria attività, possono risultare necessarie. Ad esempio la terapia antibiotica:  molto spesso si osservano prescrizioni insufficienti o come dosaggio o come scelta del farmaco d'elezione oppure attese troppo lunghe prima del differimento a struttura adeguata. 

E non dimentichiamolo, nel caso della mediastinite "discendente" o fascite necrotizzante, trattiamo di patologia con elevata mortalità, prossimale al 50% dei casi noti.

Quindi, il mio consiglio, in primis, è quello di annotare i passaggi cruciali della vicenda in cartella clinica (l'intervento svolto, quando è insorta la patologia infettiva, gli esami richiesti, i rimedi proposti, etc.), di seguire il paziente fornendo a chi, per competenza, lo prenderà in cura, strumenti adeguati a conoscere come e quando nacque la patologia acuta, mantenendo quindi una adeguata attenzione al problema, criterio questo che riteniamo di suggerire in ogni contesto di patologia acuta che interessi un nostro paziente.

In breve le attività da svolgere sono:

1. Verificare l’appropriatezza della terapia antibiotica, intendendo come appropriata una terapia con principio attivo e dosaggio adeguato alla situazione clinica che ci si trova ad affrontare.

2. Verificare la corretta compilazione della cartella, in cui deve essere descritto il quadro clinico, gli atti terapeutici eventualmente eseguiti precedentemente e successivamente, corredati da eventuali prescrizioni finalizzate ad approfondimento diagnostico o corredo terapeutico. La certificazione di accompagnamento fornita al paziente e destinata ai colleghi della struttura di accoglienza deve essere necessariamente descrittiva della situazione clinica, evidenziando le potenzialità evolutive in termini di criticità del quadro infettivo in atto.

3. Monitorare l’evoluzione del caso.

Dott. Marco Scarpelli, odontologo forense (ha collaborato il dott. Giovanni Ferrieri, chirurgo orale, odontologo forense)

 


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